Cyrano racchiude in sé grandi contraddizioni:
il coraggio di affrontare cento nemici e la paura di rivelare
il suo amore a Rossana, la bellezza della sua anima e la bruttezza
del suo viso, un'insaziabile fame di vita e l’insicurezza dell’innamorato
timido. E poi è l’uomo che non accetta compromessi, che non
si vende, che va in giro senza guanti e digiuno ma non accetta
di sottomettersi ai capricci di un potente. Eroe romantico per
eccellenza, idealista, utopista, poeta prestato alla spada e
spadaccino prestato alla poesia.
Un uomo così non poteva che soccombere alla vita.
E diventare leggenda.
Nella mia messa in scena ho voluto mantenere, il più possibile
nonostante i tagli, il verso, la rima sciolta. Non mi sono mai
piaciuti gli adattamenti contemporaneizzati del testo. Trattandosi
di un eroe epico e romantico, cavaliere senza macchia e senza
paura, non poteva parlare la lingua dell'oggi, ma doveva usare
il verso poetico. In più, dato che amo le contaminazioni, alcuni
personaggi hanno la maschera, come un richiamo esplicito a quei
Comici che, scacciati dall'Italia, si rifugiarono nel resto
dell'Europa, inseminando le culture con cui venivano a contatto.
E poi i dialetti: il pasticciere Ragueneau ha l'accento emiliano,
il Cappuccino l'accento veneto. E ultimo, ma non meno interessante,
il personaggio, aggiunto rispetto all'originale, del Cantastorie,
una specie di narratore che si relaziona al pubblico e agli
attori e che sottolinea molte scene suonando il pianoforte.
Insomma, un Cyrano che non è solo naso...
Marco Filatori
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