Lo spettacolo
Si tratta di uno spettacolo di ricerca: visionario e drammatico,
che gioca con l’intreccio di due trame, due vicende che si alternano
e non si incrociano, perché così accoppiate possano simboleggiare
ancor di più il tema che le accomuna: la malvagità. Lo spettatore
dovrà riconoscere il filo delle due vicende, attivandosi quindi
ad un ascolto più attento e ritrovando in questa richiesta un
meccanismo della comunicazione che è proprio dell’epoca moderna.
L’obbiettivo stesso dello spettacolo è quello di restare nell’epoca
moderna, facendo vedere quello che esisteva nell’uomo al tempo
di Shakespeare per dire quello che esiste nell’uomo al tempo
di oggi.
“…questa è la nottata in cui la mia fortuna sarà fatta o rovinata!”
Iago
Nota di regia
Uno spettacolo è la memoria delle sue prove. Da questa constatazione
siamo partiti e abbiamo iniziato il viaggio attraverso Shakespeare.
Un viaggio dentro l’essere umano, la sua natura, un percorso
obbligato che scopre tematiche interessanti per tutti, che riguardano
tutti: l’ipocrisia, l’ambizione, il tradimento, l’egoismo, la
tentazione, la gelosia, la stupidità umana.
Caronte ne è l’autore: Shakespeare e le sue parole. Il lavoro
è cominciato in occasione della messa in scena dell’opera lirica
“Macbeth” di Giuseppe Verdi, in cartellone al teatro Caboto
nel mese di Novembre 2008, quando abbiamo affrontato la prima
sezione di prove aperte.
Si trattava di una fase legata soprattutto ad una ricerca drammaturgia
guidata da alcune domande: cosa accomuna il testo di Macbeth
a quello di Otello, cosa vogliamo rappresentare dei due testi
e soprattutto verso quale tipo di linguaggio deve andare la
nostra traduzione dall’inglese.
Quando abbiamo capito che la risposta a queste domande in realtà
non era altro che una scelta, ci siamo giudicati maturi per
affrontare la seconda fase di prove aperte e questa abbiamo
affrontato nel mese di Dicembre.
Le prove aperte del mese di Dicembre 2008 sono state un mezzo
per arrivare al corpo di un personaggio, all’energia di una
scena, alla scoperta di un gioco interessante, il tutto di fronte
ad uno spettatore che invitato, ha raccolto l’invito e guarda.
Una situazione ottima per chi è in scena e di libera fruizione
per chi sta in platea, un’occasione per sperimentare con effetto
immediato cosa funziona e cosa no, quando l’attore comunica
o quando rimane confinato dentro al proprio palcoscenico mentale.
Basta anche un solo spettatore e negli attori scatta dentro
una sorta di obbligo, un forzato comandamento ad aprirsi, darsi,
cercare e assolutamente trovare qualcosa per poter interpretare
la parola di Shakespeare, parola scelta e rispettata in ogni
sua lettera, tradotta in una sintassi moderna, satura di vocaboli
che moderni non sono, parola essenziale, evocativa, meravigliosa,
universale….che si adatta a tutto, che nulla può tradire, perché
parola che sempre e comunque significa.
Gianluca Frigerio
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