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Note di regia

Tre atti unici

 

La scelta di unire tre atti unici all’interno di un solo spettacolo è stata quella di offrire allo spettatore un saggio della scrittura drammaturgia e del meccanismo psicologico che in fondo accomuna questi due autori, Svevo e Schnitzler. Ciò che si è ritenuto,infatti, potesse essere interessante seguire, assistendo al succedersi di questi tre atti unici, è proprio il gioco psicologico dei personaggi, magistralmente snocciolato lungo il divenire del testo, gioco psicologico che è poi l’azione stessa dell’atto, vale a dire ciò che cattura l’attenzione dello spettatore e lo porta a seguire la vicenda. Guarda caso si tratta sempre di rapporti uomo-donna, come se il mondo borghese che caratterizza il tempo dei due autori fosse ridotto al complicato relazionarsi dei due soli protagonisti: il maschio e la femmina. Ma in fondo il contesto è solo un pretesto e, se vogliamo, usato dalla stragrande maggioranza degli autori del novecento per rappresentare invece tutt’altro.
Così ne “La verità” di Italo Svevo si assiste ad una piacevole esibizione di letteratura teatrale, dove il linguaggio tipico di questo autore che aveva imparato l’italiano sui libri, offre allo spettatore l’occasione di gustarsi un ascolto e un’attenzione alla logica della frase nonché all’uso dei vocaboli che non è certamente di tutti i giorni. Mentre, se il linguaggio di Arhur Schintzler è, complice la traduzione, più contemporaneo, è la sua sottile introspezione psicologica dell’orgoglio maschile a colpirci in “Cena d’addio”, così come il gioco surreale che ci offre ne “Le nozze di Anatol”ci trascina in un divertente impiccio.
Ne nasce uno spettacolo gradevole, di intrattenimento impegnato, vario nelle sue tre situazioni e capace di offrire l’opportunità di assistere alla rappresentazioni di queste tre “chicche”che, siamo sicuri, non capiterà di trovare ancora. Un’occasione quindi e non solo per intenditori.